PEBKAC – un misterioso virus tra sedia e tastiera

Chiunque abbia mai lavorato in un help desk, o semplicemente sia “l’amico smanettone” della compagnia, conosce bene questa scena: qualcuno ti chiama disperato perché “il computer è rotto”. Tu arrivi, guardi lo schermo due secondi e scopri che… il monitor era spento.
Ecco, in quel preciso istante stai vivendo un caso di PEBKAC.

(tempo di lettura 7 minuti)

Ma che cos’è, sto PEBKAC il misterioso virus tra sedia e tastiera?

La sigla, che suona un po’ come il nome di un robot dei cartoni animati anni ’80, in realtà significa: Problem Exists Between Keyboard And Chair. Tradotto senza troppi giri di parole: il problema non è il computer, è l’umano che ci sta seduto davanti.

Non è un insulto (o almeno non lo era in origine), ma un modo ironico per dire che a volte i bug peggiori non stanno nel codice, bensì nelle nostre abitudini. Tipo quando scriviamo “qwertz123” come password e poi ci stupiamo se qualcuno entra nel nostro account.

Alcuni esempi da manuale

  • “Non mi funziona la stampante!” → era spenta.
  • “Non va internet!” → il Wi-Fi era disattivato.
  • “Ho perso tutto il file!” → in realtà non era mai stato salvato.
  • E il grande classico: “Il PC non parte!” → era la presa staccata (spesso per colpa dell’aspirapolvere).

Situazioni che, per chi le guarda da fuori, fanno sorridere. Per chi le vive… molto meno.

Una sigla nata per sfogarsi

Il termine è comparso negli anni ’90 nei reparti IT come valvola di sfogo. Immagina dover spiegare cento volte al giorno che per accendere il computer serve davvero premere il tasto “power”. PEBKAC era un modo in codice per dire: “il PC è innocente, è l’utente che lo accusa ingiustamente”.

E non è l’unica invenzione: c’è anche il PICNIC (Problem In Chair, Not In Computer) e il famigerato errore ID10T (che letto velocemente suona come “idiot”). Insomma, la community tecnica ha sempre avuto la battuta pronta.

Oggi, più attuale che mai

Se un tempo PEBKAC riguardava cavi e stampanti inceppate, oggi vale anche per le minacce digitali. Basta un click sbagliato su un link truffa e il problema non è più “non funziona la stampante”, ma “mi hanno svuotato il conto corrente”.
Il che dimostra che sì, il computer può essere potente, ma resta sempre in balia di chi lo usa.

PEBKAC incontra l’intelligenza artificiale

E qui arriva la parte divertente: con l’arrivo dell’AI, i casi di PEBKAC non sono spariti, hanno solo fatto un salto di livello. Ora non è raro leggere domande tipo:

  • “Perché ChatGPT non mi risponde?” → la connessione era caduta.
  • “L’AI non capisce quello che dico!” → era stata impostata in inglese e l’utente continuava a scrivere in dialetto.
  • “Ho chiesto all’assistente vocale di accendere la luce, ma non funziona!” → la lampadina non era smart, ma quella del supermercato sotto casa.

Insomma, l’AI può sembrare magia, ma non fa miracoli se chi la usa confonde i comandi o ignora i limiti della tecnologia. Anzi, a volte la situazione è persino più comica, perché più la tecnologia sembra “intelligente”, più ci aspettiamo che legga nella nostra mente.

La verità è che spesso non serve un supercomputer per risolvere un PEBKAC: basta un po’ di attenzione, o almeno il buon senso di chiedersi “ho acceso l’interruttore?”.

PEBKAC 2.0: quando il problema è il prompt

Con l’arrivo dell’intelligenza artificiale, il PEBKAC ha trovato un nuovo campo da gioco: le chat con i modelli linguistici. Spesso non è l’AI a “non capire”, ma l’utente che formula male la richiesta. Alcuni errori tipici:

  • fare domande vaghissime, tipo “scrivimi un articolo” senza dire per chi, con che tono o su quale canale verrà pubblicato;
  • fermarsi alla prima risposta senza chiedere miglioramenti o precisazioni;
  • non fornire contesto (es. “fammi una presentazione”… ma per chi? per una conferenza, per la scuola, per LinkedIn?);
  • dimenticare di far impersonare l’AI in un ruolo specifico (giornalista, docente, copywriter…), che aiuterebbe ad avere testi molto più centrati;
  • aspettarsi che “legga nel pensiero”, quando invece funziona meglio con istruzioni chiare e dettagliate.

In pratica, come succede con i computer tradizionali, il risultato non dipende solo dallo strumento ma da come lo si usa.

Conclusione (amara, ma vera)

Dietro al PEBKAC il misterioso virus tra sedia e tastiera c’è una verità scomoda: il tallone d’Achille della tecnologia siamo noi.
Che si tratti di una stampante, di una connessione internet o di un’intelligenza artificiale futuristica, il rischio più grande non è il bug, ma l’utente. Perché i computer possono essere super veloci, i software super complessi, le AI persino “creative”, ma se premi il tasto sbagliato… il problema resta sempre lì, tra la tastiera e la sedia.


5 FAQ sul tema PEBKAC

PEBKAC è un insulto o un termine tecnico?

Non nasce come insulto: era un modo “in codice” per far capire ai colleghi IT che il problema non era nel PC ma nell’utente. Ovviamente, detto fuori contesto può suonare poco carino… ma l’intento era più di ridere che di offendere.

Esistono casi famosi di PEBKAC?

Altroché! Nel 1999 un’intera rete aziendale fu “bloccata” perché un dipendente aveva infilato la spina della stampante in una presa multipla… spenta. Da lì in poi, il reparto IT chiamò quell’area “zona PEBKAC”.

PEBKAC riguarda solo principianti?

Assolutamente no. Anche gli esperti inciampano: programmatori che cercano per ore un bug inesistente… per poi scoprire che non avevano salvato il file. Nessuno è immune.

Con l’arrivo dell’AI, il PEBKAC è sparito?

Anzi! Ora si è solo evoluto. Dal classico “non va internet” siamo passati a “l’AI non mi capisce”, quando in realtà le si chiedeva di scrivere in sanscrito partendo da un vocale incomprensibile. Tecnologia nuova, vecchi errori.

Si può prevenire il PEBKAC il misterioso virus tra sedia e tastiera?

Più che prevenirlo, si può addestrare l’utente (con tanta pazienza) e ridere della situazione. Alcuni reparti IT hanno persino “manuali PEBKAC” interni con le gaffe più epiche, da leggere nei momenti di stress.


5 FAQ sul prompt e come evitare il PEBKAC il misterioso virus tra sedia e tastiera

Perché la mia prima risposta a volte sembra banale?

Più di quanto pensi. Meglio spiegare obiettivo, pubblico e formato. Un “scrivimi un testo per LinkedIn su PEBKAC in tono leggero” funziona molto meglio di “scrivi di PEBKAC”.

Devo sempre impersonificare l’AI in un ruolo?

Non sempre, ma spesso aiuta. Dire “scrivi come se fossi un giornalista tech” o “parla come un professore di liceo” rende il risultato molto più vicino a ciò che ti serve.

Quanto contesto devo dare in un prompt?

Più di quanto pensi. Meglio spiegare obiettivo, pubblico e formato. Un “scrivimi un testo per LinkedIn su PEBKAC in tono leggero” funziona molto meglio di “scrivi di PEBKAC”.

È sbagliato accontentarsi della prima risposta?

Non è sbagliato, ma è un peccato. L’AI funziona meglio con iterazioni: puoi chiedere correzioni, aggiungere vincoli o allargare l’argomento. Pensala come un dialogo, non come un distributore automatico di risposte.

Qual è l’errore più grande da evitare in un prompt?

Chiedere cose vaghe o ambigue. Frasi tipo “fammi un testo bello” o “dammi un’idea originale” lasciano troppo spazio e rischiano di deluderti. Meglio: “scrivi un articolo di 500 parole, tono ironico, su PEBKAC, con esempi e una conclusione divertente”.


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