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Parlare come ChatGPT: Negli Stati Uniti, alcuni linguisti iniziano a notare un fenomeno curioso: le persone stanno parlando — o meglio, scrivendo — come ChatGPT.
Frasi neutre, strutture prevedibili, toni iper-educati.
Una comunicazione funzionale, sì… ma anche spersonalizzata, quasi “modellizzata”.
(tempo di lettura 5 minuti)
In Europa, il fenomeno sembra meno evidente, almeno per ora.
Eppure, qualcosa si muove anche qui.
Apri una mail, scorri un post, guarda un commento su un forum.
Ti accorgi che molte persone stanno usando lo stesso stile da manuale: corretto, informativo, pacato — ma anche freddo e privo di personalità.
Nel frattempo, i più giovani scrivono in modo completamente diverso: emoji, abbreviazioni, frasi tagliate, parole inventate.
Ma anche qui, paradossalmente, c’è un pattern. Una semplificazione. Una riduzione.
Insomma: stiamo ancora parlando da esseri umani, o stiamo iniziando a scrivere come software?
I testi generati da AI seguono una logica precisa: chiarezza, coerenza, tono neutro.
Niente esagerazioni, niente opinioni forti, niente “scatti emotivi”.
Ecco alcuni esempi di frasi tipiche da ChatGPT-style:
Perfette. Eccessivamente perfette.
Ora prova a rileggere alcune delle tue ultime email di lavoro o post su LinkedIn.
Ti suonano familiari?
Siamo esposti ogni giorno a testi generati da modelli linguistici: articoli, risposte automatiche, post, email.
Il nostro cervello, per natura, imita ciò che riconosce come “efficace”.
E se quello stile diventa lo standard invisibile, finiamo per interiorizzarlo.
Scriviamo come modelli. Pensiamo come template.
Non è un disastro, ma è un campanello d’allarme: quando il linguaggio diventa generico, anche il pensiero rischia di diventarlo.
Nel frattempo, i più giovani scrivono come se dovessero battere il record di sintesi:
All’apparenza è l’opposto dello stile AI: veloce, caotico, pieno di scorciatoie.
Ma anche questo tipo di linguaggio risponde a una logica di efficienza e prevedibilità.
Una lingua che comunica con il minimo sforzo, sempre più “codificata” — e sempre meno personale.
Da un lato, abbiamo testi troppo “corretti” per essere veri.
Dall’altro, messaggi ridotti a sigle e mezze frasi.
Nel mezzo? La lingua vera, quella viva, quella che oscilla, sbaglia, si emoziona, digredisce.
Il rischio non è solo stilistico, ma culturale:
Ecco un confronto tra uno stile personale e uno “alla ChatGPT” o ultra-sintetico:
| 🗣 Messaggio personale | 🤖 Messaggio modellizzato |
|---|---|
| “Oggi ero stanco morto, ma sono riuscito a finire tutto. Non so come ho fatto.” | “Giornata faticosa. Obiettivi raggiunti.” |
| “Non so se fidarmi di questa proposta, c’è qualcosa che non mi torna.” | “Dubbi sulla proposta. Possibili criticità.” |
| “Mi ha fatto ridere fino alle lacrime, assurdo!” | “Molto divertente. Reazione positiva.” |
| “Vabbe dai, vediamoci e poi si decide, ok?” | “Vediamoci. Decisione dopo.” |
1. Perdiamo sfumature.
Le frasi diventano piatte, prevedibili, tutte uguali.
2. Rischiamo di pensare “per modelli” invece che per idee.
Se il linguaggio si appiattisce, anche la nostra visione del mondo rischia di farlo.
3. Ci nascondiamo dietro la neutralità.
Dire “la situazione è complessa” è più facile che dire “non lo so” o “questa cosa mi spaventa”.
4. Comunicare diventa un atto meccanico, non relazionale.
Parole senza corpo, voce o calore.
In alcuni contesti sì: email, post, risposte automatiche. Lo stile AI — neutro, ordinato, impersonale — sta diventando uno standard linguistico.
No. Anche nella comunicazione quotidiana (chat, messaggi, social), certe abitudini si stanno diffondendo. Il rischio è che la nostra voce si “modellizzi”.
Vero, ma anche il loro linguaggio risponde a logiche prevedibili. Non imitano l’AI, ma usano schemi che semplificano e riducono la varietà espressiva.
Frasi troppo corrette, nessuna emozione, tono sempre neutro. Oppure al contrario, messaggi eccessivamente compressi, senza soggetto né respiro.
Scrivendo come pensiamo, non come prevede un algoritmo. Aggiungendo dubbi, pause, ironia. Lasciando entrare l’imperfezione, la voce, l’umano.
L’intelligenza artificiale è brava a scrivere testi leggibili, puliti, coerenti.
Ma è proprio quella coerenza estrema a renderli “non umani”.
Il vero paradosso? Stiamo iniziando a parlare così anche noi.
Che si tratti di un post, una chat o una mail, vale sempre la pena chiedersi:
Mi sto esprimendo davvero?
O sto semplicemente seguendo un modello invisibile?
Forse la rivoluzione linguistica dell’AI non sarà fatta di frasi strane.
Ma di frasi troppo giuste, troppo uguali, troppo prudenti.
E proprio per questo… meno vive.
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